
Forse è colpa del fatto che se la vita non avesse deciso diversamente, avrei voluto fare il medico, o che ho vissuto un’infinità di pranzi e cene sentendo parlare dei casi clinici che i miei vedevano ogni giorno, rimane che il racconto di come passo dopo passo, sutura dopo sutura, un manipolo di uomini, ha fatto quello che sembrava impossibile mi ha inchiodata alle pagine. Oggi i trapianti in generale sono cosa usuale – mai abbastanza purtroppo – però se ci si ferma a pensare, anche solo guardando la copertina, a quante connessioni ci sono in una mano, fra tendini nervi arterie vene ossa e soprattutto a quanto sono minuscole, ci si rende conto di quanto enorme sia stata l’impresa e di quanto studio e determinazione abbia richiesto. Una mano più in là è una storia che a buon diritto è entrata nella Storia ed è il ritratto di un uomo che dovrebbe essere un esempio per ogni giovane che si avvii a diventare qualcosa nella vita. Un uomo che ha saputo coltivare una determinazione micidiale Non ha recriminato nemmeno quando per ben cinque volte, dall’autunno del 2002, dopo un numero esorbitante di pubblicazioni, dopo la direzione della Microsearch Foundation di Sidney, eseguito il primo trapianto di mano al mondo, avere operato in tutto il mondo, comprese Africa e India dove con la sua onlus ogni anno ricostruisce mani a chi non ha neanche l’aspirina, si candida al concorso per una cattedra di Professore di ruolo alla Insubria, per la materia che già insegnava come associato alla Bicocca, lo silurano a favore di qualcuno che non arriva a un decimo di quello che ha fatto lui. Cinque volte ha vinto il ricorso e ciononostante non gliel’hanno data. Non una parola ingiuriosa, solo la voglia di denunciare perché questo sistema marcio e malato cambi. Ha incontrato i potenti della terra, ha stretto le mani di tutti, ma per Marco Lanzetta Bertani, le più importanti, restano quelle dei suoi pazienti. Dai primi anni ’90 un giovane chirurgo insegue letteralmente in tutto il mondo i migliori da cui imparare. Lo fa con un obiettivo ben preciso, diventare lui il migliore nel suo campo. Nello specifico la microchirurgia della mano.Continua a studiare e lavorare, finché a Lione il 23 settembre 1998 fra mille difficoltà di ogni tipo, mediche etiche psicologiche logistiche e legali la mano espiantata a un morto, riprende vita.
