
Ho letto credo quasi tutti i libri di Enrico Ruggeri, so quanto scrive bene, come è in grado di cambiare genere, ma trovare la storia che ha messo in UN GIOCO DA RAGAZZI non me lo aspettavo proprio. Quando l’ho finito ho acceso subito il pc, ero così entusiasta che ho pensato mi sarebbe uscito tutto in un attimo. Errore, proprio perché l’ho trovato ottimo (non mi spingo a definirlo eccezionale perché è un aggettivo che uso davvero raramente), temo di banalizzarlo scrivendone.
Non è il primo libro che leggo sugli anni di piombo, ma questo punto di osservazione non ricordo di averlo mai trovato. A seconda dell’opinione o dell’orientamento di scrive, ci sono i buoni e i cattivi. Qui no. Qui c’è una storia se non vera molto verosimile, non ci sono prese di posizione, solo fatti nudi e crudi.
Per quanto sia più che abituata agli autori di gialli e noir che entrano nella testa degli assassini, oltre che degli investigatori, il percorso di vita di questi due fratelli che prendono strade opposte, è descritto con una vividezza tale che entri letteralmente nei panni sia di Vittorio e Mario, sia della famiglia – madre padre sorella e zia – che assistono, prima senza accorgersene e poi colpiti a morte dall’enormità della cosa, alla crescita dei due ragazzi che di giorno in giorno si allontanano sempre di più, perdendosi, non riuscendo più a dialogare, diventando due nemici che nulla hanno in comune. In quasi tutti i romanzi c’è un messaggio – o almeno questo è quello che ci trova e forse cerca un lettore – qui forse no, c’è solo il racconto puro e semplice dei fatti, del perché e come si è arrivati a quegli anni terribili, pieni di fervore e furore. Anni cosiddetti di piombo, che a me sono rimasti appiccicati addosso (come a tutti quelli della mia generazione credo) e che hanno letteralmente dato forma a un paio di generazioni successive. Una forma malata ahimè, che saltato un giro, si trova a mettere tutta la passione politica, dove politica sta per tutto ciò che riguarda la collettività, scrivendo perlopiù stronzate) sui social network. Mario e Vittorio con la loro storia “disgraziata”, ci ricordano quanto sia necessario mantenere un equilibrio, quanto sia facile deragliare e perdere il controllo arrivando a commettere dapprima azioni scellerate e poi reati, perdendo di vista qualunque cosa non sia la propria ossessione fino ad arrivare a perdere completamente se stessi.
Un romanzo che vale ogni minuto impiegato a leggerlo, che insegna tanto, un racconto profondo di una stagione che per l’Italia è stata fondamentale, della quale ancora oggi piangiamo i morti da una parte e dall’altra. Uno sguardo distaccato, che non prende posizione (come è giusto che sia), ma va a fondo di ogni spinta emotiva, di ogni azione compiuta in nome di un’utopia. Un romanzo per capire come siamo arrivati dove siamo ora. Un libro come ce ne vorrebbero tanti. Grazie Rouge.
