Il passato, no, un infinitesimo pezzettino di passato, si presenta un pomeriggio nello studio di Guerrieri. Lorenza, che della ragazza di quasi trent’anni prima non ha quasi più nulla, se non le sembianze, stanche invecchiate da una patina di sconfitta. Chiede aiuto a Guido per portare avanti la difesa del figlio accusato di omicidio. L’avvocato che ha seguito il primo grado di giudizio è morto e da quanto evince Guerrieri, è abbastanza evidente che già durante il processo non era al massimo della forma. Non convinto di nulla, nè dell’innocenza o colpevolezza, nè dell’opportunità di aprire la porta a quel pezzettino di passato che aveva messo nel dimenticatoio, ma è stato piuttosto importante, Guerrieri decide di accettare. Mancava dal 2014 l’avvocato barese e devo dire che è stato un bel ritrovare. Che la mia memoria sia quel che è, è cosa nota, dei libri (a parte qualcuno, mi restano le sensazioni, le caratteristiche dei personaggi, meno le trame) Guerrieri mi è sempre piaciuto, con le sue abitudini un po’ strambe, tipo parlare con un sacco da boxe (che gli risponde, perchè a parlare con gli oggetti son bravi tutti), avere un rapporto diciamo difficile con le donne o quantomeno con l’amore, vivere spesso la notte insieme ad altri amanti di quella dimensione parallela che vive nel buio. L’ho ritrovato più leggero, meno oppresso dalle sue malinconie. Pacificato con se stesso oserei. Il “conflitto” insito nella vita del penalista, che per mestiere deve garantire ai delinquenti un giusto processo (lasciamo da parte la deriva per cui la maggior parte cerca l’assoluzione), è presente, come lo è sempre stato, ma ripeto, sempre secondo il mio sentire, mi sembra che anche quel conflitto sia più sotto controllo, meno pressante. Mi pare ovvio chee ve lo consiglio, sia che abbiate letto i precedenti sia che non lo abbiate fatto.
In occasione di #Bookcity, Einaudi ha organizzato un incontro aperitivo dei blogger con l’ex magistrato. Una piacevolissima oretta in cui abbiamo sviscerato insieme all’autore tutte le nostre curiosità. Qui di seguito un po’ delle cose che ci ha raccontato.
D: Mi ha colpito molto il fatto che l’imputato venga condannato (in primo grado no spoiler ndr) senza che venga minimamente cercata l’arma del delitto? Non è un elemento piuttosto importante visti i tempi fra l’omicidio e l’arresto?
R: in un caso come quello descritto non è indispensabile. Gli indizi che possono portare alla condanna possono essere di qualunque tipo, ci sono processi, che ovviamente sono un po’ più difficili degli altri, in cui manca addirittura il corpo della vittima. Io una volta mi occupai di una strage di mafia, in cui i corpi delle vittime non furono mai più ritrovati, anche dopo che un pentito ci disse che li avevano bruciati insieme a dei copertoni. Noi andammo a fare il sopralluogo nella discarica ed effettivamente trovammo pezzetti di carte d’identità, un pezzetto di arcata dentale
D: confrontandoci con Cristina Aicardi – Milano nera – abbiamo avuto l’impressione di avere letto due libri diversi. Partendo dal presupposto che lei non ha letto i primi e io invece tutti, io ho avuto l’impressione di un Guerrieri pacificato con la vita, più sereno, meno cupo. Un uomo risolto, uno che dice sono arrivato a cinquant’anni, ho fatto una serie di cose alcune buone alcune meno ma va bene così. Cristina invece ha proprio avuto la sensazione di un uomo che fa fatica a riconoscersi?
R: le due cose non si escludono, credo che la chiave interpretativa, anche di questo apparente disaccordo, sia in quella citazione che lui fa a un certo punto, quella di Keats della capacità negativa, della capacità di accettare l’ambiguità, ma in realtà le due cose coesistono tranquillamente, uno può essere adulto e risolto nella consapevolezza che la risoluzione vera non esiste mai, che è sempre una situazione precaria. Quindi essere risolti può essere la capacità di accettare la precarietà come condizione comune. Secondo me avete ragione entrambe.
D: sempre a proposito del riconoscersi, proprio all’inizio del romanzo, lei dice : ognuno ha qualcosa che lo identifica, anche un oggetto. Qual è l’oggetto che la identifica?
R: le penne forse, l’oggetto in cui mi identifico di più sono le penne in generale. Quando sono in giro e o sono nervoso o sono particolarmente sereno, mi compro un libro o una penna, anche se ne ho davvero tanti e tante. “Cristina: io compro un libro o un quaderno”. Compro anche quaderni, non li ho citati perché ne ho un tale numero che mi costringe a censurarmi e non comprarne altri. La situazione poi è stata aggravata dalla partecipazione (abbastanza assidua) del programma di Lilly Gruber, dove ad ogni puntata regalano agli ospiti un taccuino, per cui ne ho una montagna.
D: Una frase che c’è nel libro e mi piace riportare prima della domanda, “smettere di fare quello che fai quando ti accorgi di avere esaurito la voglia di farlo o le forze, o quando ti accorgi di avere raggiunto i confini del tuo talento Tutto ciò che viene dopo quel confine è ripetizione”. Come vive le ripetizioni l’avvocato Guerrieri?
R: lui le vive con insoddisfazione, questo certamente sì, con la voglia di fare altro, che è un po’ la cifra stilistica del personaggio. Quella è una frase categorica, in cui credo fino a un certo punto. In molti casi è giusto che uno continui a fare quello che fa anche se con qualche rimpianto. Come nei rapporti personali, è chiaro che dopo tanti anni ci sono dei momenti di esasperazione, ma questo non significa che si debba per forza divorziare . Lui li vive così com’è raccontato. Però sono abbastanza convinto che se uno avesse il coraggio, quando si accorge di non avere più stimoli, di fare altro, non sarebbe male. Sarebbe come rinascere e questo ci riporta anche su quello che c’è alla fine del libro, allo stupore della vita che accelera dopo una certa età. La vita accelera con l’età ed è una cosa che appiattisce. Io quando ho cominciato a scrivere, ho avuto la sensazione nettissima che la vita decelerasse, mi sono sentito più giovane e non è mica male eh. Tra l’altro la frase è una citazione da un altro mio libro, “le tre del mattino” che è un libro sul talento, la capacità di seguire il talento. C’è una frase di Erica Jong che dice, il talento non è poi così raro, quello che è raro, è il coraggio di seguire il proprio talento.
D: Come accetta le critiche un debuttante? Al decimo libro probabilmente si accettano in modo diverso, cambia qualcosa?
R: Non c’è dubbio che poi uno impara a trasformarle in benzina, l’esperienza in questo campo è di aiuto ed è ovvio che uno che comincia, soprattutto in un territorio in cui sei ultrasensibile. Gli scrittori, come dice Stephen King che è citato senza citarlo, sono bisognosi di approvazione, quindi quando non ti approvano o ti stroncano addirittura, tanto bene non la prendi
D: io sono rimasta entusiasta di come in questo romanzo, hai maneggiato il tempo, perché credo che tu abbia veramente utilizzato una serie di livelli multistrato che si prestano a una quantità di letture. A partire dal titolo, secondo me il tempo è veramente l’ago della bilancia, c’è il passato il presente, c’è il tempo processuale c’è il tempo che un innocente passa in carcere. Tutta questa sovrapposizione l’hai gestita magnificamente. Non c’è un momento del libro in cui ci si trovi spaesati, lo dici più volte, sono ricordi sfumati, non sai nemmeno se sono in sequenza. Questo contrasta con quello a cui per professione un avvocato deve attenersi, quelli processuali
R: moltissimo del senso del libro si gioca su questa contraddizione. Nasce proprio da questa idea, prima ancora del processo volevo raccontare la ricomparsa di questa donna, che era stata uno shock nella sua vita, non so se dire un innamoramento un infatuazione ma comunque importante perchè l’ha traghettato da ragazzo a uomo, tutto il resto è venuto poi, anche il figlio, cioè pensavo a come mettere insieme lo spaesamento il non riconoscimento. Una cosa importante del libro è come lui la guarda, gli sembra diversa e poi si domanda se in realtà lei non sia uguale e sia diverso il modo in cui lui la guardava allora e la guarda adesso. E io questo volevo raccontare.
D: Guerrieri non si vedeva da un pezzo, avevi altro da raccontare o è stata una scelta diciamo commerciale?
R: Qualcuno mi ha chiesto come mai lo hai recuperato, ma io in realtà non ho mai pensato di metterlo da parte, ho scritto molte altre cose, ma è stato naturale perché siccome io sono affezionato al personaggio, come molti lettori, questo affetto fa sì che io non scriva troppe cose, perché poi il rischio è che si impoverisca che diventi una figura stereotipata perda profondità. Diventa il personaggio di una serie ma per me questi libri non sono una serie, sono come dei capitoli di un macroromanzo che racconta lo sviluppo del personaggio, però per raccontare lo sviluppo è necessario anche avere una storia da raccontare.
D: libri con una costruzione così complessa, con una grossa parte di introspezione psicologica, quando vengono classificati come legal thriller, sei contento o…?
R: io penso due cose, intanto un aneddoto, quando scrissi Testimone inconsapevole, diciassette anni fa, tutto pensavo tranne che fosse un legal thriller, io pensavo di aver scritto un romanzo di formazione di quest’uomo che sbatte contro la vita contro la sua mediocrità, che appartiene a tutti, e che poi trova se stesso in un’avventura processuale che è in realtà un espediente, il senso di quel libro era dato dalla frase che c’è in epigrafe, quella di Lao Tze “quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo la chiama farfalla” . Quando il libro uscì cominciarono a parlare di legal thriller, in particolare Augias fece questa recensione, il miglior giallo legale mai uscito in Italia. Una cosa che fa piacere ma ovviamente ha dato una specie di marchio, quello che successe subito dopo, cioè le vendite, mi indusse a una certa flessibilità. Alla fine però, come diceva Chesterton, i libri si dividono in due categorie, quelli scritti bene e quelli scritti male, il genere l’etichettatura, è un modo per avvicinare poche o tante persone alla lettura e va bene così, ci sono anche libri commerciali, ma la differenza è questa, se un buon prodotto artigianale che vende magari milione di copie, quando hai finito di leggerlo, dopo una mezz’ora non ti ricordi più niente, faccio l’esempio di Grisham, persona deliziosa e incredibile creatore di storie, a cui dei personaggi non frega assolutamente niente, quindi un tipo di lettura di intrattenimento, al limite di denuncia ma fini a se stessi. Per me, la differenza vera, approfondendo scritti bene scritti male, è fra i libri che quando li finisci son finiti e quelli che quando li hai finiti cominciano
D: possiamo dire che come autore preferisci che rimanga il personaggio anziché la trama?
R: la trama è un oggetto meccanico, uno strumento. Ovviamente deve essere buona, perché se non funziona ti toglie il gusto di leggere, ma è davvero solo lo strumento che ti consente di parlare di altre cose, quindi la trama deve essere buona, una trama che non funziona, è necessario essere un costruttore molto abile, non ci devono essere contraddizioni deve essere qualcosa che fila come un meccanismo ad orologeria.
D: parlando di costruzione della trama, c’è una frase che mi ha colpito “ nei processi giudiziari prendiamo gli elementi emersi”, è come costruire una trama, è la stessa cosa.
R: certamente, infatti un bravo magistrato un bravo giudice, un bravo investigatore è quello che è capace di ricostruire storie. In base al ragionamento retroattivo, prendi l’indizio fai un’ipotesi te lo spieghi e hai la storia di come potrebbero essere andati i fatti, fa parte della riflessione giuridica, proprio la riflessione sugli indizi è molto affascinante.
D: come si riesce a non entrare troppo nel tecnico, in una fase processuale in un romanzo dove il processo è al centro.
R: questa era la scommessa, prendere una cosa ultratecnica come le questioni giuridiche e renderle fruibili
D: cos’è il reato omissivo improprio?
R: Allora ci sono i reati omissivi propri, in cui è punita l’omissione. Quindi il non avere fatto qualcosa. Il reato omissivo improprio è quando dalla tua omissione consegue un reato più rave, per esempio, tu non soccorri qualcuno e questa persona muore, perché l’omissione è la circostanza di fatto che produce un evento e quindi si chiama reato omissivo improprio o commissivo mediante omissione, cioè produci un effetto non facendo qualcosa che avresti dovuto fare.
D: Guerrieri come tutti i lettori, usa le librerie come ansiolitico, quando non riesce a dormire ha però l’abitudine di tirare mattina all’”Osteria del caffelatte”, il proprietario dice che i suoi clienti sono tutti dei tipi bizzarri. Cosa rappresenta la notte per l’immaginario di Guerrieri e per tutti quelli che non si sentono rappresentati dalla quotidianità? E soprattutto esiste un’Osteria del caffelatte?
R: esiste nel senso che io l’ho messa in un posto preciso dove in realtà c’è qualcos’altro, quindi nel mio territorio parzialmente immaginario esiste, perché creare dei posti in contesti del tutto realistici ma che non esistono, per me è come creare delle porte girevoli, fra il mondo del realismo e il mondo del realismo magico, della fantasia. La notte è il luogo della sovversione diciamo, mi ricordo un’attrice che diceva, pianificate accuratamente le vostre giornate e per la notte, affidatevi alla fantasia. Ecco, poi il contrasto luce buio è un contrasto che ha a che fare con un diverso atteggiamento nei confronti del reale. Quella libreria è come un santuario laico di questa sovversione.
